lunedì 7 dicembre 2009

No B Day: come in un vecchio, sciatto bar dello sport.

Forse sono i primi segni della rinuncia all'entusiasmo, forse è "quella noia che ti assale e che non va più via", come dice Vasco, ma le foto pubblicate su FB del No B Day mettono tristezza.
La stessa tristezza provocata da un vecchio film con le battute sulle tette, per capirsi, la stessa malinconia guardando De Sica che fa la faccia sbalordita davanti ad una Belen mezza nuda. Visto e rivisto e stravisto, uguale e sempre uguale, a tratti paradossale e sicuramente molto nazional popolare, ma non come i Baustelle, bensì come la Carrà. Carrambra che sorpresa! Una manifestazione in cui sfilano Franca Rame e Dario Fo, in cui sventolano i bandieroni IdV, in cui Antonino contento contento ha rinunciato ad una domenica in campagna per stringere le mani alle persone, come un promesso sposo durante il sabato dle villaggio.
Le manifestazioni contro B e non per un'Italia diversa tingono di una luce un po' opaca i vari leaderini (per lo più perdenti alle elezioni) che sorridono felici dietro a striscioni con battute tirate tirate, wow, gag a gogò. Ma quegli striscioni non dicono nulla perchè pongono la questione al livello della battaglia personale, riportano la politica allo scontro individuale, evitano così la riflessione, la proposta, una diversità di contenuto e di prospettiva. La manifestazione sta dentro le corde dell'Italia berlusconiana e alla fine la esalta.
è la cronice in negativo che non convince: non solo per il "no a " ma per "l'assenza di". Di una chiave diversa, di un racconto altro, di un'emancipazione, di una storia positiva cui unirsi e cui partecipare. Non si vede tra quelle facce un'Italia futura.
Che per essere tale deve cominciare a fare altro. Non è sufficiente sostenere di essere un'alternativa, bisogna farla l'alternativa nel caso dei partiti, bisogna discutere di altro, organizzarsi, farsi sentire da parte dei cittadini. Ma per farsi sentire bisogna suonare una musica diversa, sfoggiare altri sorrisi, non prestarsi al giochino del "io sono contro!". Voglio sentire "io sono a favore" e, come dice Guzzanti, non Paolo ma Corrado che a volte è pure più equilibrato, "per questo, questo e quest'altro motivo".
Sarà una riflessione povera, non introdurrà nessun elemento in più, sarà svilente e parziale, ma che noia.
Sempre qui, sempre al solito posto, come in un vecchio sciatto bar dello sport.

venerdì 27 novembre 2009

Decidere! Tra le parole della politica, una puntata di LogoPolis in più.

LogoPolis di oggi.
Buona lettura!

Decisione

Preparando bene la partita e conoscendo gli schemi delle squadre, le caratteristiche dei giocatori, si riesce quasi sempre a trovarsi nelle migliori condizioni per giudicare e decidere.
Pierluigi Collina, arbitro di calcio



Definizione:
sostantivo femminile
1. Scelta operativa, risoluzione, deliberazione: d. affrettata; rimettersi alle d. di qlcu. || con d., senza remore, con determinazione
2. sdir. Sentenza con cui si risolve una causa: d. del tribunale; anche, atto normativo della comunità europea


A guardare la partita sono in tanti, e sono attenti, lucidi, pronti a dire la propria. Perché, si sa, in Italia non ci sono solo navigatori, santi ed eroi. Ma ci sono arbitri in ogni casa ed in ogni coppia, così come ci sono grandi statisti in ogni bar e seduti la domenica a pranzo, tutti insieme, pronti a litigare per affermare la propria opinione.
Insomma, se ci sono due argomenti che tengono banco nelle sante mattine domenicali davanti ad una tavola imbandita con tortellini e paste fresche, quelle buone, quelle che ancora vanno a ruba nei giorni di festa, quegli argomenti sono appunto il calcio e la politica. E si discute di entrambi per la stessa ragione, è la stessa propensione che determina l’animosità dei capifamiglia: il desiderio di dimostrare la propria capacità strategica, il piacere di sostenere che si, nei casi difficili, si avrebbero le competenze per decidere. E per farlo bene, ovvio.
Nel calcio, infatti, come nella politica, la decisione è il frutto di una capacità umana da tutti amata e da tutti perseguita: la creatività. Saper decidere, infatti, non è solo fare la voce grossa, imporsi come solo leader che battono i pugni sul tavolo. È, questa, un’interpretazione al minimo. Saper decidere è saper guardare lontano, avere visione, immaginazione, dimostrare vitalità.
Chi decide si prende, così, la responsabilità di costruire il futuro.
Un sassofonista statunitense, Julian Cannonball Adderley, soffiando dentro il suo strumento e lasciandosi andare a ritmi e passi veloci e vellutati sosteneva che: “Senza passato non c'è futuro, e nessuno che non sappia bene da dov'è venuto il jazz ha il diritto di decidere dove debba andare.”.
Lo stesso vale per la decisione politica, che come il jazz è mescolanza, è gestalt, è costruzione e architettura, è arte. Decidere è mettere insieme gli elementi, e per farlo serve, infatti, la conoscenza del passato, utile ad insegnare e a ricordare il modo in cui le passioni umane si mescolano e reagiscono insieme, ed è amore per ciò che verrà. Così si prende una strada, così il dubbio, la confusione, il caos diventano un progetto: architettando insieme gli elementi e combattendo fino ad arrivare alla meta, fino a realizzare lo scopo della decisione.
Chi decide, quindi, ha la prontezza dell’arbitro, la fantasia del musicista, l’abilità del politico. Ma ancora non basta. Chi decide deve avere il carisma del condottiero, la capacità di diffondere entusiasmo e di creare passione. Perché alla decisione tutti poi devono contribuire, nella decisione tutti devono essere coinvolti: la politica è una passione comune altrimenti, e semplicemente, non è.
Spesso, troppo spesso, decidere è stato considerato un processo: l’iter decisionale, il percorso, quando non il tavolo, della mediazione. È cos’, senza dubbio, ma solo in parte, perché questa interpretazione porta con sé alcuni rischi. Se, infatti, la decisione è un processo allora l’aspetto centrale è quello della mediazione, e mediare significa anche perdere pezzi, rinunciare ad aspetti della propria proposta, trattare, cedere. È politica, va bene, ma è anche il rischio della politica a metà, che sceglie in modo parziale, talvolta correntista, minimale e un po’ svilente. La decisione può, e qualche volta deve, essere valutata come un risultato: se non viene conseguito c’è fallimento. Decidere non deve essere, cioè, solo mediare ed arrivare a proposte stiracchiate e poco capaci di incidere sulla realtà. Decidere deve essere anche, soprattutto, difendere un’idea, una proposta, ed avere l’abilità di promuoverla: se si crede in qualcosa bisogna faro fino in fondo e prendersi la responsabilità di tirare fuori il cartellino giallo, di suonare su un palco, di dare una direzione ad un Paese.
La politica che decide, e che sa ascoltare, comprendere e metter insieme i pezzi all’inizio di un percorso, per poi disegnare il futuro come in una orchestra di Capodanno, è l’arte del possibile. È il cuore della natura umana, è il senso stesso della comunità, è il fine ultimo delle cose.
La politica può essere bellissima. Basta crederci, e decidere.

martedì 17 novembre 2009

la non-protesta è su ffwebmagazine

Riporto qui il mio micro pezzo di oggi, 1000 battute, su ffwebmagazine.
Contro la politica che urlacchia e incita alla paura, alla contrapposizione attarverso liturgie un pò stantie.
Eccolo qua (formato Google Doc) e di seguito.

« Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all'altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: "Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene." Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio. » L'odio, Mathieu Kassovitz

Questa, invece, è la storia di un Paese che rotola da un governo di destra, a volte, di sinistra, altre, di centro, sempre. Mano a mano che passa da una maggioranza all’altra, il Paese per farsi coraggio si ripete, imitando Gianni Morandi perchè il Paese agli ever green non rinucnia: “ma quanto è dura la salita, in gioco c’è la vita. Ma il passato non potrà tornare uguale mai!”.

Il problema, stavolta, non è la salita, che magari l’affrontiamo, ma proprio quello che il Gianni nazionale più teme: il passato, carico di stereotipi. Tra cui, non da ultimo, lo scontro viscerale tra narrazioni, ripetu(iv)e, ormai deboli. Il Paese così rotolante e bello, come dice Rutelli tanto da dedicargli un ben sillabato “visit Italy”, manca di un racconto positivo, e continua a crogiolarsi in una infertile narrazione “presentista” orientata all’odio, allo scontro, declinato in ogni sua (vecchia) forma liturgica.

Manifestazioni, comizi, studi televisivi sono sempre uguali e colanti le solite parole, così ripetute da aver perso di significato. Frasi da guerra, buone per Jack, che per intere serie di Lost sta là con l’occhio da cocainomane a temere l’arrivo degli Altri.

Ma Gianni te lo diceva da tempo, con le grandi mani sui fianchi: gli altri siamo noi.

E se siamo davvero noi a rimetterci? Noi tutti, il Paese intero che procede like a rolling stones, ma senza ritmo accattivante?

L’odio fa terra bruciata, sterilizza, cancella ogni creatività. Proprio oggi, proprio qui, nel momento in cui ci sarebbe davvero bisogno di fertilità, creatività, futuro. In una parola: d’amore.


lunedì 16 novembre 2009

Coworking. Quando il lavoro fa comunità.

Ho scoperto di non essere pazza, grazie a una mail che mi hanno inviato i ragazzi di Lo Spazio della Politica.
Ho scoperto la mia ansia da ufficio chiuso, da tran tran che diventa tram tram, andata e ritorno, quotidiano, da ore di cui perdo il senso ed il verso, e si arrotolano su sè stesse come in un paese delle meraviglie senza confini, non è, tutto questo insieme, sintomo di una pazzia che incombe.
Ho scoperto che la mia ansia da lavoro in senso rigido la provano in tanti, ma molti non si limitano a sentirla e a scusarsene con un pò di imbarazzo.
Si inventano soluzioni.
Idee, baby, idee! Sempre questo il punto: idee, un imperativo per migliorare il presente, presentando futuro.
Come quella del coworking project: spazi a disposione di lavoratori diversi, capaci di rompere il confine netto tra tempo di lavoro e di incontro, luoghi in cui fare network significa mettere concretamente insieme esperienze profesisonali, confrontarsi, dare spazio alla fantasia condivisa.
Share, share, share.
Saranno gli ormoni da trentenne, ma quasi mi commuovo dalla contentezza.

domenica 15 novembre 2009

Se non lo sai, sallo!

Se non lo sai, sallo!
Questa frase per chi fa consulenza politica è una sorta di mantra a due sensi.
Il "tu" che dovrebbe sapere ma non sa può infatti essere declinato in due varianti.
Tu come te stesso: se vuoi fare il consulente le cose le devi conoscere.
Il consulente è una persona afflitta da nevrosi conoscitive, sempre con il dubbio di aver letto abbastanza quotidiani, di tendenze abbastanza diverse, di essere abbastanza aggiornato, ma allo stesso tempo abbastanza easy, cool, smart, abracadabra e bibidi bobidi bù.
Il consulente è schizofrenico, vive l'ossimoro costante di sapere e di non sapere, di governare i processi e di non avere abbastanza strumenti per farlo nel modo migliore possibile.
L'altro tipo di tu cui si addice la frase è il politico.
Il politico non è schizofrenico; lui nel 99% dei casi è convinto di sapere. Bisognerebbe urlargli dietro, con il garbo dovuto e sottolineato dal gesto della mano aperta accanto allo bocca: "se non lo sai, salloooo!".
Il politico è convinto sapendo, anche, di mentire, lo fa consapevolmente.
Perchè il politico spesso non è quello che a scuola studiava, scriveva bene, sapeva la lezione di storia, ma stava in fondo, parlava troppo durante la lezione, a ricreazione organizzava faide di bulletti e amava l'ora di religione per la frase evangelica "con me o contro di me", l'unica citazione che si ricorda oltre a quelle scovate in Wikiquote dal proprio consulente, perchè il web è difficile, noi siamo per la stretta di mano, porta voti.

Allora, se non lo sai, sallo.
E chiunque tu sia, guardati questo video.

lunedì 29 giugno 2009

Grazie Marjane.

Ho passato tre giorni di seguito, tutti di fila, a leggere un fumetto l'anno scorso. L'ho portato nella borsa mentre andavo al lavoro, tirato fuori nelle pause, letto sdraiata sulla sabbia, divorato come si fa con il proprio piatto preferito, le pagine tra le dita, una dopo l'altra come le ciliegie.
Sono entrata in libreria, l'altro giorno. Ed ho comprato il secondo fumetto. Le pagine, anche se in bianco e nero, sembrano arcobaleno, sono intrise di colore. Trasudano colore le parole, le frasi, le espressioni, lo stile è denso di magia, realismo, colore.
Dopo "Persepolis" e dopo "Taglia e cuci", Marjane Satrapi torna a raccontare, con il tratto netto, crudo, quasi a prendere dalla realtà solo l'essenziale, per renderla più vera di come è. E lo fa per la sua Teheran, pe ril suo Iran, per dire che in tanti hanno scelto, non solo di votare, non solo una nuova tagione politica.
Sono sceso in piazza, sono andati su Twitter e FaceBook, hanno riempito i loro blog, rischiando il carcere e la tortura, perchè hanno scelto. Di fare la Storia.
grazie Marjane. Grazie Persepolis 2.0.

http://www.spreadpersepolis.com/

venerdì 26 giugno 2009

Il pozzo e la luna, il pazzo e il PD.

No, non è in questo caso un soliloquio, un moto solipsista dell'animo. Tutt'altro. è un'accusa, ma insieme una propsta, una scossa, un consilgio, una considerazione.
è l'intervista di oggi che Claudio Velardi ha rilasciato a La Stampa e che mira a valutare le possibilità di leadership del PD. Poche, se restano dentro le logiche e le dinamiche attuali e vecchie, rivoluzione, se a determinarle sarà un pazzo, un innovatore, un utopista concreto (direo io).

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